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2° Uscita - Novembre 2025 - La Porta Aperta

Indice dei contenuti


  1. Editoriale - a cura di Franco Baiardi


  2. Cosa mi ha trasmesso "una doppia cinta di mura"- Marco Facchinetti

  3. Serata di confronto "La maledizione delle risorse naturali"  - Stefano Salis


  4. Intervista con la sindaca Laura Cappelli - Franco Baiardi

     

  5. E le donne di Buggerru si riuniscono - Ilaria Silanus

  6. Residenze Artistiche dal 10 al 17 Novembre - Elena Pallaver

  7. Chiacchierata Intervista a Marilena Cavassa - Franco Baiardi

  8. Prefazione e primo racconto Una giornata particolare nel mare di Settembre - Renzo Licciardi



1 - Editoriale - a cura di Franco Baiardi


UN PONTE


Sono certo che nessuno ricorda quando gli uomini hanno avvertito il bisogno di parlare. Per secoli e forse ancora di più gli uomini si sono posti l’obiettivo di dirsi delle cose. Fosse la necessità della caccia o il lavoro, sta di fatto che il bisogno di comunicare è stato da tempo immemore uno dei bisogni più importanti. Se non sbaglio la parola è la caratteristica che ci distingue dagli animali, poi ascoltando qualcuno ci rendiamo conto che sarebbe meglio non lo facesse. Ma questo è un altro discorso. Nel corso della nostra evoluzione abbiamo perso diversi aspetti che si sono sopiti nei ricordi di cosa eravamo capaci.

Oggi in questa epoca, tutti o quasi, siamo dotati di cellulari che ci permettono di parlare con un amico che si trova a New York piuttosto che alle Maldive. Girando per strada penso sia capitato a tutti di vedere tante persone impegnate con il telefono, vabbè addirittura a volte ci hanno costretto a frenare perché attraversavano la strada senza guardare convinti forse che quell’apparecchio li preservasse da un investimento certo…La gente deve comunicare, magari invia agli amici la foto della colazione come notizia importante ma comunica. Quello che ho notato, ma magari mi sbaglio, è un diverso modo di farlo. Possiamo senz’altro affermare che esistono due modi di comunicare, due mondi diversi. Il mondo dei telefonini e il mondo reale. Non sono così certo che al crescere dei messaggi corrisponda un analogo incremento di parole dette. Forse mi si potrebbe contestare che ormai inviare messaggi non costa nulla, ma anche le parole non costano. Forse molti di noi ricordano con un po’ di nostalgia quando ci si cercava chiamando dal cortile o suonando il campanello. Modi che stanno sparendo a favore di una comunicazione silenziosa. Una sera mi è capitato addirittura di vedere due ragazzi in pizzeria che comunicavano tramite messaggi. Erano seduti allo stesso tavolo, uno di fronte all’altro. Soprattutto nelle nuove generazioni si sta rischiando di perdere il piacere di parlarci di persona guardandoci negli occhi. Tra gli obiettivi di Viviamo Buggerru c’è quello di parlare con tutti. Lo scopo di creare una grande comunità passa necessariamente per la sana abitudine di parlare con tutti. Forse non sarà immediato ma c’è l’augurio che i primi segnali che già si vedono siano solo le avanguardie di una tendenza nuova. E ci piacerebbe che ognuno fosse il portatore di un piccolo frammento che permetta di costruire assieme il ponte che andrà ad avvicinare le persone. Due persone che non si parlano sono su due sponde diverse e ognuno non può ascoltare quello che l’altro vorrebbe comunicare. Tanti ponti nuovi che avvicineranno le persone per creare una comunicazione logica in una piccola comunità come quella di Buggerru. Già il nome del giornale su cui scrivo assieme ad altri “La Porta Aperta” è esemplificativo di quello che si intende. La Porta Aperta vuole ospitare la parola di tutti e ogni parola rappresenta quel piccolo frammento che messo assieme agli altri permetterà di costruire quel ponte che vogliamo chiamare Comunità. Anche in questa uscita desideriamo darvi conto di eventi già avvenuti con lo scopo di fare comunità, vi daremo notizia anche di eventi prossimi, uno dei quali sarà in corso quando leggerete queste righe. Come cantavano i Righeira “L’Estate sta finendo” anche qui le giornate si sono accorciate e il sole scalda un po’ meno ma non abbiamo intenzione di entrare nel solito torpore autunno vernino e vogliamo che il paese resti vivo. Abbiamo in cantiere eventi che desideriamo, con la vostra collaborazione, realizzare a beneficio degli abitanti di Buggerru. Ne abbiamo parlato nel primo numero della volontà di FARE per il nostro paese e vi rinnoviamo l’invito a partecipare e a utilizzare sempre più la voce di questo nostro organo di informazione (dovreste aver trovato nella vostra cassetta della posta una copia in cartaceo del primo numero per dare a più persone possibili la possibilità di conoscere quello che vogliamo FARE). Attendiamo i vostri commenti ma soprattutto i vostri suggerimenti. Un ponte si costruisce assieme.


P.S. Nell’imminenza di pubblicare il secondo numero de La Porta Aperta veniamo informati di un fatto di cui vogliamo darvi conto. Ci è stata segnalata la presenza di individui insoliti nel paese. Dalle prime sommarie informazioni ci pare di poter escludere trattarsi di atleti di una squadra di pallavolo o di basket, al momento non sono stati segnalati atteggiamenti ostili, anzi, al contrario pare siano cordiali. In attesa di chiarire invitiamo la popolazione ad adeguarsi al loro atteggiamento disponibile. Per maggiore informazione pare che praticamente tutti gli individui segnalati portino fluenti barbe bianche. Da indiscrezioni pare ci sia la volontà, una volta verificata la cordialità dei Buggerrai nei loro confronti, di richiedere la residenza nel nostro paese.

Grazie per la vostra attenzione, alla prossima.

Franco Baiardi



2 - Cosa mi ha trasmesso "Una doppia cinta di mura" - Marco Facchinetti


Cosa mi ha trasmesso "Una doppia cinta di mura" - Marco Facchinetti
Cosa mi ha trasmesso "Una doppia cinta di mura" - Marco Facchinetti

Sono un ragazzo di 32 anni, e come si può intuire dalla mia età, molte delle vicende narrate nel libro, sono a me lontane, anche se sentite nei racconti dei miei genitori.

Ho sentito molto spesso raccontare di come si viveva nelle case di allora, cosa c’era dentro, una stufa in mezzo ad una stanza, che si usava non solo per riscaldarsi, ma anche per cucinare, del fatto che si rientrava a casa, molto spesso bagnati fradici in inverno e si mettevano gli indumenti ad asciugare nella stessa stufa, le doppie coperte se non triple, che si usavano nelle fredde sere invernali per scaldarsi quando si andava a letto, o anche un porta braci per scaldarsi i piedi o le lenzuola per non entrare nel letto gelato (una sorta di scalda sonno antiquato insomma).

Il fatto che per vedersi con gli amici ci si doveva dare appuntamento il giorno precedente, prima di tornare a casa, sperando poi che nel giorno/luogo fatidico ci si riuscisse ad incontrare.

Insomma un epoca lontana (che essendo del 93’ ho vissuto solo in parte), ma a mio avviso molto meglio di quella di oggi, fatta di messaggi su Whatsapp, ansie per una non risposta o chiamate infinite su Zoom, si viveva senza ansie, si viveva meglio.

Altro aspetto poi che mi ha colpito del libro, è la divisione della vita del protagonista, in 3 macro categoria, la sua vita da bambino, la sua vita da adolescente e la sua vita da adulto, tutte caratterizzate da elementi e problemi diversi in base alla fase in cui il protagonista si trova a raccontare.

Cosa mi ha trasmesso "Una doppia cinta di mura" - Marco Facchinetti
Cosa mi ha trasmesso "Una doppia cinta di mura" - Marco Facchinetti

Parte centrale del racconto poi è il rapporto che il protagonista ha con i suoi genitori, il rapporto quasi simbiotico con la madre, e quello più distaccato del padre, che con la perdita poi della figura materna, va via via sempre di più a peggiorare, ma forse è proprio da questo aspetto, che nel protagonista, nasce il desiderio di non far mancare nulla alla sua futura famiglia e ai suoi figli la figura paterna, figura che lui ha sempre sentito distante.

In conclusione si, consiglio la lettura, sia alle persone che hanno vissuto quell’epoca, per la miriade di ricordi che rivivranno, sia ai più giovani, perché gli aprirà la finestra in un epoca ormai lontana che sta svanendo.





3 - Serata di confronto "La maledizione delle risorse naturali" - Stefano Salis


Serata di confronto "La maledizione delle risorse naturali" - Stefano Salis
Serata di confronto "La maledizione delle risorse naturali" - Stefano Salis

Nel museo del minatore il giorno 18 in una bella serata estiva di fine Agosto si è tenuto alla presenza di un folto pubblico la presentazione della tesi di laurea, di un socio della prima ora, Marco Facchinetti dal titolo “ Il fenomeno della maledizione delle risorse naturali”, manifestazione che colpisce gli Stati/ territori che hanno a disposizione grandissime risorse naturali (es. Petrolio, Gas, Minerali), i quali crescono molto di meno a livello economico, rispetto a quelle zone, che ne hanno in quantità inferiori. Una di queste cause è la mancata diversificazione dell’economia di questi territori, che porta di conseguenza alla Maledizione.


Dopo l’introduzione di Renzo che ha tratteggiato magistralmente la figura del professor Pigliaru (relatore della tesi di Marco) e che ha moderato gli interventi successivi, è stata la volta del tesista che ha definito il fenomeno della maledizione, le sue cause, gli stati maggiormente colpiti cui è seguito un breve cenno sui risvolti che il fenomeno ha comunque avuto anche sulla Sardegna e sul territorio di Buggerru.


In seguito vi è stato l’intervento di Carlo Plaisant che ha affrontato il tema della nascita, sviluppo e decrescita (purtroppo) delle zona minerarie, nonché episodi di vita vissuta a Buggerru, dove ha abitato per alcuni anni, evidenziando i tratti caratteristici dei suoi abitanti che formarono un paese inclusivo e cosmopolita.


Per concludere lo stesso prof. Pigliaru ha poi spiegato come questo passato ha condizionato, il presente del mondo. Banalmente anche il nostro territorio, nel suo piccolo, con la mancata verticalizzazione delle produzioni cioè la trasformazione del minerale prima in metallo poi in prodotti finiti industriali, l’unico processo in grado di moltiplicare la ricchezza e i profitti che sarebbero potuti e dovuti restare nel territorio producendo lavoro e produzione industriale.


L’evento è poi proseguito con un ragionamento su come lavorare per un futuro migliore e come si può superare e migliorare questa maledizione delle risorse. La piacevole serata è terminata verso le ore 24, con intervento del numeroso e attento pubblico, con piena soddisfazione dei convenuti e con una mezza promessa del prof. Pigliaru di un prossimo futuro incontro per meglio approfondire il discorso su come lavorare ed intervenire per un futuro migliore.


La tesi di Marco e gli interventi successivi sono stati anche un’esortazione e un ammonimento che ha dato occasione ad alcuni spunti e riflessioni per il futuro. La considerazione, che a me sembra tra le più importanti, è quella del parallelismo tra lo sfruttamento indiscriminato delle risorse umane e naturali dei paesi più poveri del terzo mondo e lo sfruttamento colonialista operato nell’Isola ed in particolare nella zona mineraria. Buggerru non è stato esente da questo fenomeno, da questa benedizione della natura (immense ricchezze del sottosuolo) trasformatasi in maledizione ( rapporti di produzione di tipo colonialista che ha lasciato il territorio privo di risorse). Quest’ultimi erano caratterizzati: dal minerale grezzo trasportato all’estero dopo una prima elementare lavorazione in loco, manodopera sarda addetta alle funzioni più semplici, sfruttamento indiscriminato della forza lavoro sia maschile che femminile e minorile, bassi salari, immensi profitti finanziari che non arricchivano certamente i territori che li generavano. Nel caso di Buggerru, al termine dell’attività mineraria, come si è detto prima, il territorio fu privo di risorse, di conseguenza l’unica possibilità per rimanere allo stesso grado di espansione fino ad allora raggiunto, era quello di diversificare l’economia, investendo in altri settori, cosa che a Buggerru non fu fatto.



4 - Intervista con la sindaca Laura Cappelli - Franco Baiardi


Mentre ero intento a mettere in ordine gli articoli che i nuovi reporter mi avevano inviato, mi sono accorto che stavo commettendo un errore. La seconda uscita de La Porta Aperta rischiava di avvenire senza aver ascoltato la voce del primo cittadino di Buggerru. Presto fatto, mi sono recato in Comune e, tempo venti secondi, ero seduto davanti alla sindaca Laura Cappelli. E’ iniziata una cordiale conversazione


Franco


Mi farebbe piacere ascoltare un tuo bilancio sull’andamento della stagione estiva che si sta concludendo.


Sindaca


Abbiamo avuto un leggero calo di presenze nei mesi solitamente di pieno, mentre abbiamo verificato un allungamento della stagione rispetto ai dati dal 2016. Riteniamo che abbia inciso sul calo dei turisti un incremento dei costi dei trasporti. Ha inciso invece positivamente sulle presenze l’attrazione determinata dal Cammino Minerario di s. Barbara. Ad oggi abbiamo ancora la Galleria Henry e il Museo del Minatore aperti. E’ ovvio che l’amministrazione auspica un consolidamento dei dati che portino ad un allungamento stabile della stagione turistica.


Franco


quali azioni ha intrapreso e intende intraprendere l’amministrazione di Buggerru per prepararsi ad un maggiore afflusso turistico?


Sindaca


Abbiamo un patrimonio minerario notevole, da valorizzare. E’ scontato che, a questo scopo, dobbiamo prevedere più posti letto oltre a intervenire su una riconversione del patrimonio edilizio esistente. Ad esempio, l’Hotel 904, l’ex asilo e altri edifici di proprietà comunale dove intendiamo intervenire oltre ad altre iniziative per gestire un maggiore afflusso turistico. Come sindaco auspicherei un prolungamento dell’apertura degli stabilimenti balneari, ma è una iniziativa sulla quale il Comune non può intervenire in quanto è materia regionale e statale. Stiamo studiando una riqualificazione progressiva di tutto l’abitato di Buggerru. Abbiamo già concesso a soggetti privati diversi edifici di proprietà comunale per la creazione di nuovi servizi per i cittadini e per i turisti. Abbiamo progettato una palestra, che al momento non esiste, nella sede dell’ex casa del Surf. Sostanzialmente l’amministrazione è concentrata sulle iniziative che vadano ad ampliare l’offerta dei servizi.

-Franco

Mi pare di capire che l’amministrazione sia favorevolmente disposta verso quelle iniziative la cui realizzazione vada a creare nuove economie e posti di lavoro. Peraltro, è l’obiettivo dell’Associazione ViviAmo Buggerru

-Sindaca

Certamente, tutto quello che prevede il raggiungimento di questi obiettivi sarà ben visto dal comune


Franco


Avrete sicuramente notato piccole novità, alcune signore di Buggerru sono intervenute sulle aiuole antistanti l’ufficio postale per ripulirle dalle erbacce e provvedere a nuove piantumazioni. Nei prossimi giorni avrete modo di incrociare per le vie del paese dei simpatici gnomi. Anche questa è una iniziativa di un bel gruppo di signore che hanno deciso di mettere a disposizione della comunità la loro creatività, al solo scopo di abbellire il paese strappando un sorriso. L’associazione ViviAmo Buggerru si augura che queste signore siano solo l’avanguardia di un più folto gruppo di persone che hanno a cuore il proprio paese, e che hanno compreso che è molto più concreto fare che criticare. Non sono sicuramente azioni eclatanti, ma sono il segnale che il benessere del paese sta a cuore ai suoi abitanti. Sicuramente siete a conoscenza del fatto che tra pochi giorni partirà una grande iniziativa a Buggerru: il progetto delle Residenze Artistiche, voluto da Paolo Rossi e Caterina Gabanella e sostenuto dall’Associazione ViviAmo Buggerru. La definisco grande non tanto per i risultati che ancora non conosciamo, ma già solo per l’interesse che ha suscitato sul web, con circa 150.000 visualizzazioni. Questo è il primo risultato. Ad oggi, grazie ad una promozione on line, tante persone conoscono Buggerru. Ed è solo l’inizio. Voglio esprimere l’apprezzamento dell’Associazione per la concessione della sala multimediale del Museo del Minatore, per l’evento aperto a tutta la popolazione. Questa, oltre ad altri progetti in cantiere, è una delle tante iniziative che l’Associazione ViviAmo Buggerru, assieme alle altre Associazioni già presenti, si propone di realizzare. Come il cineforum, in cima alle richieste degli abitanti. E’ ovvio, alla luce dei programmi del Comune, che una fattiva collaborazione di tutti i soggetti che hanno a cuore il benessere della comunità potrà solo favorire la loro realizzazione. Posso pensare che, visto il clima collaborativo, questo possa essere il primo di tanti incontri?


Sindaca


Certo, grazie


Franco


Grazie a te per la disponibilità. Alla prossima




5 - E le donne di Buggerru si riuniscono - Ilaria Silanus


Dalla fine di settembre un nuovo gruppo, tutto al femminile, si è formato in seno

all’associazione Viviamo Buggerru.

Il gruppo Janas, nasce dal desiderio di ritrovarsi, uscire dalla quotidianità e stare

insieme con leggerezza, per mettere in moto passioni, attitudini e creatività.

Come si intuisce, il nome è preso in prestito dalla tradizione sarda. Così si

chiamano, infatti, le fate leggendarie, abili tessitrici e custodi dei boschi.

Allo stesso modo, le donne che prendono parte a questo gruppo, tessono nuove

relazioni e ricuciono il tessuto sociale.

Sin dalla prima riunione, il gruppo si è mosso con vivacità di idee e proposte, che

si sono concretizzate in attività per tutti i gusti, ma accomunate da uno stesso filo

conduttore: quello di stare insieme e, dove possibile, restituire qualcosa di bello a

Buggerru.

Per primi sono nati i gruppi Creatività e Verde pubblico, che vogliono valorizzare il

nostro paese educandoci alla bellezza e mettendo in moto fantasia e manualità.

Gli amanti dei libri trovano il proprio spazio di commento e confronto nel gruppo

lettura, che in questo momento sta seguendo un percorso sugli autori sardi. Chi ha

bisogno di un momento di connessione sincera troverà il suo spazio nel gruppo di

ascolto; mentre con il Burraco per due ore l’unico pensiero sarà vincere la partita!

Se il cruccio è destreggiarsi tra i meandri della tecnologia, arriva in soccorso il

gruppo del supporto tecnologico. E ultimo, ma non per importanza, il gruppo della

maglia con il suo progetto di realizzazione di mantelle in lana in vista delle feste.

Questa varietà di attività è specchio della vivacità che anima il gruppo Janas, una

vivacità del fare, del costruire relazioni, coesione e bellezza nel senso più ampio

del termine, è dimostrazione di un gruppo accogliente che aspetta solo nuove

amiche e proposte da realizzare.



6 - Residenze Artistiche dal 10 al 17 Novembre - Elena Pallaver


Dal 10 al 16 novembre. Buggerru ospita una nuova residenza artistica con Paolo Rossi, Caterina Gabanella ed Emanuele dell’Aquila. Una settimana di incontri, prove teatrali e lavori sulle proprie storie ed emozioni, con momenti aperti alla cittadinanza, che culmina negli spettacoli finali del 16 e del 17 novembre. Il senso di questa iniziativa va oltre lo spettacolo. E’ parte del progetto ”Fra storia-leggenda-futuro” con cui la nostra associazione rigenera il territorio attraverso cultura, memoria e partecipazione. Non eventi isolati, ma cantieri culturali permanenti, luoghi dove la creatività diventa strumento di identità, coesione e futuro.

Buggerru non è solo un paese del passato minerario: è una comunità viva, un laboratorio di resistenza e rinascita.

Le nostre miniere, le storie, i silenzi e le leggende diventano materia teatrale e civile attraverso il linguaggio universale dell’arte. Paolo Rossi, Caterina Gabanella ed Emanuele Dell’Aquila trasformano con noi la storia in racconto, il luogo in scena.

La residenza ha invitato tutta la collettività a partecipare, ad aprirsi, a riscoprire il valore del “ fare insieme”:

  • E’ un laboratorio di comunità e creatività

  • Un’occasione per unire generazioni, competenze e sensibilità diverse

  • Un modo per ritrovare orgoglio e fiducia nel nostro territorio.

Il progetto punta a invertire lo spopolamento e creare nuove economie culturali, fondate sul senso di appartenenza e sulla valorizzazione del patrimonio umano e naturale di Buggerru. In questo percorso, ogni cittadino è protagonista.

La rigenerazione non si fa con le opere ma con le persone.

Ogni storia individuale è parte del racconto collettivo che scriviamo insieme. Tutti sono invitati a partecipare alle serate del 16 e del 17 novembre, dove il lavoro degli artisti e della comunità si trasforma in un grande atto condiviso di arte e identità.

Fra storia, leggenda e futuro Buggerru riscopre se stessa. E da qui riparte.


Elena Pallaver



7- Chiacchierata, Intervista a Marilena Cavassa - Franco Baiardi


Intervista del 2 Novembre 2025


“Ho un ricordo positivo della mia esperienza in cooperativa che, essendo una onlus funziona e ha funzionato, come un’ associazione di volontariato.

 Una delle mie esperienze lavorative più forti e più coinvolgenti a 360 gradi è stata sicuramente l’attività di supporto a nuclei famigliari fragili, l ‘impegno nel settore della disabilità e inclusione, impegno nel settore socio\culturale, tutte attività dove ho visto la promozione e il coinvolgimento di enti istituzionali comunali e sovra comunali. Ricordo risultati importanti:

Ragazzi che oggi sono orgogliosa di vedere realizzati, ragazzi che nessuno pensava potessero avere uno sbocco nel mercato del lavoro, alcuni se ne sono andati da Buggerru...

In definitiva una bella coesione, un bel periodo dove venivano organizzati corsi di teatro, si facevano incontri con le scuole, con professionisti, trattando argomenti che spaziavano dal disagio sociale, alla disabilità e\ o altre problematiche legate alla famiglia. Un vivaio di attività, compreso il teatro, concretamente ci ritroviamo gli obiettivi di Viviamo Buggerru. Un esempio LE RESIDENZE ARTISTICHE. A quel tempo queste iniziative hanno visto la partecipazione dei nostri ragazzi a concorsi regionali e nazionali di TEATRO GIOVANI. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, mi chiedono (ragazzi che ora hanno una quarantina di anni) quando lo rifacciamo”.

Poi cosa è successo che ha interrotto queste attività?   

Sistemi di gestione frammentati e poco efficienti, l’assenza di strategie promozionali e comunicative e di una limitata ownership da parte della cittadinanza.

Forse anche una tendenza a lasciarsi andare alle solite cose piuttosto che fare?

“Mah…una mancanza di comunicazione e una …la definirei una indifferenza rassegnata, la mancanza di una volontà nel voler cambiare le cose.

Tu come vedi la presenza di Viviamo Buggerru?

“Io mi sono avvicinata a questa novità con entusiasmo ma con un po’ di diffidenza. E purtroppo ho già visto all’interno dell’associazione persone che a volte partecipano ma con diffidenza come se avessero timore ad aprirsi”

Non hai risposto alla mia domanda, te la riformulo: Tu pensi che le iniziative di Viviamo Buggerru possano nel tempo incidere sulle abitudini delle persone del paese?

“Io non penso che sarà facile, per incidere sulle abitudini delle persone, credo, che dovremo essere molto resilienti e dare l’esempio. Se non pensassi così, non farei parte dell’Associazione Viviamo Buggerru. Credo che tutto sia possibile, o comunque molto più facile, quando lavoriamo assieme per un obiettivo comune.”

Le persone vanno, però, in un certo senso, capite, mi spiego meglio: in una situazione dove non si sta bene, si vive nelle difficoltà alle quali per assurdo ci si abitua. E’ nostro compito far toccare con mano che si può stare meglio.

“Me lo auguro, anche se dobbiamo mettere in preventivo che non tutti comprenderanno subito l’opportunità. “

Ma tu che conosci la realtà delle persone che vivono qui, pensi sia possibile una concreta collaborazione tra le associazioni esistenti e Viviamo Buggerru?

“Una collaborazione tra le associazioni esistenti c’è ma al momento vedo pochi di queste associazioni partecipare alle riunioni della nuova. Potrebbe essere normale visto il modo di pensare. Forse potrebbe spaventare il fatto che Viviamo Buggerru sta dimostrando di essere una associazione che fa e non parla e basta? D’altronde ricordiamoci che è radicato il sentimento di rassegnazione che fa dire “Tanto a Buggerru non va avanti nulla”.

Recentemente l’associazione ha organizzato un incontro informale con i giovani. Volevamo capire quanto fossero interessati a partecipare per essere parte del cambiamento che si vuole portare nel paese. Ho visto un discreto entusiasmo per le novità che sono state loro prospettate. Mi è rimasta impressa una frase “Siamo interessati purché non siano iniziative spot che durano pochi giorni” come lo spettacolo dei Mamuthones.

“Solo per dire, l’organizzazione della sfilata dei Mamuthones ha occupato diversi mesi di lavoro, tempo e impegno al quale chi oggi critica spesso non ha partecipato. E’ un classico “Non fare ma criticare” Ogni manifestazione che è andata in scena a Buggerru ha previsto mesi di preparazione. E lavoro, le ragazze e i ragazzi che si sono profusi con impegno per la realizzazione degli eventi, erano e sono nostri collaboratori dipendenti, ma che per la maggior parte del tempo hanno dedicato giornate intere a titolo di volontariato perché credevano nel progetto, o giovani che si prestavano per organizzazione degli eventi per il piacere di farlo, o ancora persone disoccupate alle quali veniva offerta una piccola opportunità lavorativa se pur di breve periodo. Un evento crea lavoro e il lavoro crea sviluppo locale, questo è un concetto chiaro che molti non vogliono capire. Manca la consapevolezza di comprendere che con nulla si ottiene il nulla.”

Come possiamo intervenire come associazione per cominciare a cambiare questo modo di pensare?

“Lavorando, lavorando senza mollare mai. Dobbiamo trasmettere che siamo un gruppo coeso. Con le Residenze Artistiche abbiamo una grossa opportunità che non va buttata via. E’ importante trovare delle collaborazioni con persone che credano in questo progetto. Non dobbiamo perdere di vista che lo scopo è migliorare la qualità di vita della comunità creando lavoro. In ultima analisi se questa iniziativa tra le altre cose riuscisse a portare gente qui, sarebbe già un bel risultato. Dobbiamo preoccuparci di ottenere dei risultati perché quelli peseranno più di tante parole. Lo scopo che ci stiamo prefiggendo è ambizioso perché in ultima analisi va a combattere un fenomeno che interessa tutta la Sardegna: lo spopolamento. Serve valorizzare le nostre risorse e la prima risorsa da valorizzare sono le persone. Dovrebbe far riflettere il dato delle visualizzazioni a questo evento, tanta gente in Italia ora sa che esiste Buggerru. E che a Buggerru succedono belle cose.”

Vorrei aggiungere un’ultima cosa: l’obiettivo di Viviamo Buggerru è ambizioso, ma nessuno di noi ha la bacchetta magica. Noi per primi siamo consapevoli che il cambiamento che intendiamo noi non sarà né facile né veloce ma possibile se tutta la comunità si impegnerà a raggiungerlo.”

Grazie Marilena per la chiacchierata



8- Prefazione e primo racconto Una giornata particolare nel mare di Settembre - Renzo Licciardi


Il DOVERE DI RICORDARE


Cari lettori de La Porta Aperta, e amici di Buggerru

Siamo lieti di inaugurare una rubrica di ricordi che speriamo diventi un appuntamento fisso e apprezzato: "MEMORIE DI BUGGERRU: TRA MINIERA E MARE". Con cadenza mensile, da queste pagine – sia che le leggiate sul nostro sito web https://www.viviamobuggerru.com/ o tra le mani nella versione cartacea – potrete rivivere dei ricordi vividi di chi ha vissuto la nostra comunità.

La memoria storica è un filo fragile.

Il nostro scopo è quello di custodirlo, raccogliendo e tramandando i segni di quel passato che, a poco a poco, diventano la nostra storia collettiva. Non si tratta solo dei grandi eventi, come il tragico e fondamentale «4 settembre 1904», ma anche e soprattutto delle piccole storie personali, che rischiano di perdersi sotto uno strato di polvere e fatalmente nell’oblio del risucchio del tempo.

Queste cronache non vorrebbero essere semplici nostalgie, ma una raccolta di frammenti dispersi dell'eredità lasciata da chi ha vissuto tempi duri ma anche felici. Con questo spirito vi invitiamo a immergervi in queste pagine e a riconoscere in esse il codice etico e l’anima indomita che definiscono l'identità culturale di un paese sorto tra la miniera e il mare.

Nel primo dei racconti brevi che apre la serie di questa rubrica, si può scoprire non solo il legame sincero tra un padre e il figlio durante una "Giornata in Barca nel Mare di Settembre", ma anche la percezione del trasferimento di valori tra generazioni.

Buona lettura, e che il ricordo, come una storia sussurrata, possa sopravvivere.


RUBRICA - MEMORIE DI BUGGERRU: TRA MINIERA E MARE


UNA GIORNATA IN BARCA NEL MARE DI SETTEMBRE


Ricordi di una bolentinata speciale

Era l’alba tersa di una domenica di fine stagione, a Buggerru, a metà degli anni Sessanta, quando ogni ora aveva il peso del piombo estratto dalle sue montagne.

Una mano sfiorò la mia spalla. La voce di mio padre, un soffio basso che non doveva turbare il sonno degli altri: «Dai, Renzo, alzati. È l'ora. Mangia in fretta. Chi dorme, lo sai, non piglia pesci!».

L’aroma del caffè aleggiava in casa, come il fumo sottile in un rito sacro. Il mio primo sguardo dalla finestra, carico di aspettative, andò alla superficie del mare. Era liscia, quasi oleosa, increspata appena dal respiro del grecale. Il sole, ancora prigioniero dietro la montagna di Montebeccu, spandeva un riverbero di luce fresca, tagliente, sull'aria di fine settembre. Buggerru dormiva nel silenzio placido, rotto solo dal cadenzare dei motori dei pescatori in lontananza che rientravano smagliando i pesci dalle reti.

Mentre divoravo la zuppa di pane e caffelatte, Babbo preparava l'occorrente per la bolentinata. Il cesto consunto di vimini, conteneva l'arsenale di pesca: lenze di nylon avvolte sui sugheri intagliati, piombi di tutti i pesi, ami conficcati, alcuni arrugginiti, ma utili, perché a mare non si sa mai. Quei piombi, pezzi di miniera rinati, fusi e colati dalle batterie dismesse dei camion.

Poi, l'esca. Due barattoli di pelati recuperati. Uno per le esche fresche – sardine, calamari – e l'altro, il più fastidioso, per il "brumiggiu": l'intruglio di sardine a pezzi, sale e sabbia lasciato a macerare. Un pastone fetido, certo, ma di efficacia assicurata per attirare le prede del fondale.

Il nostro spuntino per mezza mattinata: due pomodori di Portixeddu – succosi come nessun altri – e due dolcissimi grappoli di giallo moscatello del pergolato di casa.

Caricammo tutto e scendemmo al mare, dove "Salvatore Padre" ci attendeva dondolante in banchina: un gozzo di legno di cinque metri con tre fasce tricolori. Non era una barca, era un pezzo d'osso di famiglia. Portava il nome orgogliosamente dipinto a prua sul legno salmastro.

La sua storia era una saga marinaresca e mineraria: forgiata ai primi del '900 da Nonno Vincenzino, fabbro minatore costretto a integrare la paga pescando, come i suoi avi. Era stato il battello di appoggio alla “barca grande” per la pesca al largo. Aveva visto crescere i suoi figli, mio padre Nino e suo fratello Carlo, tra la Centrale Elettrica l'Officina della miniera e la fatica delle reti. Dopo la morte precoce del Nonno, la barca grande era stata abbandonata a secco, come una carcassa di balena, a disfarsi tristemente sulla spiaggia. Ma il canotto, come lo chiamavamo, il "Salvatore Padre", era rimasto, custode della memoria e del rispetto dovuto al capostipite, conservato dai figli e per un certo tempo anche da noi più giovani.

Togliemmo i lucchetti e aprimmo i boccaporti. Il canotto, navigava con la vela latina e a remi, ma negli ultimi tempi fu dotato di un motore entrobordo: un piccolo scoppiettante monocilindrico da un Cavallo Vapore, alimentato a miscela. Portava sulla testata, come nome di fabbrica, con l'evidenza delle cose essenziali, il nome: "Solo".

Accenderlo era una prova di conoscenza tecnica applicata. A volte non bastavano i colpi di manovella tra una imprecazione e l’altra; serviva il rito, la magia pratica. Le levette dell’aria e del carburatore dovevano essere accordate all’umore del motore e al clima della giornata. Se il motore si ostinava a non "cantare", si smontava la candela, si strofinavano gli elettrodi con carta vetrata e si soffiava forte. Se, nonostante tutto, rifiutava di avviarsi, si ricorreva al gesto estremo: il "Cicchetto". Versare miscela direttamente nella camera di combustione, ubriacare la macchina per obbligarla a girare. Un’alchimia necessaria, fra l'uomo e la macchina.

Per uscire dal molo la rotta era di mio padre. Superata la Punta, con mia gioia, mi passava il timone. La navigazione era lenta, il mare era come un piatto di vetro. Il sole inondava quell'angolo di paradiso, che neanche lo sbuffare del motore riusciva a disturbare.

Passammo in rassegna la costa. Ma la mappa del nostro territorio di pesca era un elenco di punti con nomi singolari: Capo Pecora, Portixeddu, il faraglione del Nido dell’Aquila, Cala Domestica, fino al Pan di Zucchero. Per ogni scoglio, per ogni punta, lui aveva una storia, un aneddoto di vita, sua o di altri compaesani.

E poi c'erano loro: le impronte del Minerale. La Laveria a gradoni, i cumuli conici delle scorie sparsi sull’altipiano come gigantesche patelle. Le bocche cieche degli scarichi delle gallerie sulla falesia bianca, il tracciato sulla costa della ferrovia della Galleria Henry. Non erano sfregi sull’ambiente, per noi erano la “storia adattata”, la convinzione che la violazione era stata dura, sì, ma obbligata. Le cicatrici della miniera, un paesaggio industriale paradossalmente integrato nella bellezza della natura. Un universo da amare a prescindere, concentrato in poche decine di chilometri.

Ci fermammo su un "fortiere", un fondale roccioso che prometteva un buon pescato. Senza satelliti, senza diavolerie elettroniche, la secca si trovava con la triangolazione, il metodo antico. Si allineavano due punti sulla costa – per esempio la Torre e il Pan di Zucchero, la Laveria e la Banderuola – e il punto d'incrocio era quello cercato per gettare le lenze.

Motore spento. Il piombo scese veloce per settanta metri, fino al fondo. Lui lo sollevò appena, e attese.

Quei segni. Micro-segnali che risalivano lungo la lenza fino al dito teso. Saperli leggere era l'arte, il momento cruciale per capire se il mare era generoso. Presto, i primi: i colorati bulargi (serrani), i più voraci della zona. Erano i tempi in cui si pescava bene, con attrezzi semplici, tirando su a mano pagelli, dentici, saraghi.

Il braccio di mio padre scattò. Poi la serie rapida di strappi alla lenza, segno che abboccavano. Recuperò su il filo a grandi bracciate, che si sparpagliò sul fondo della barca con un disordine apparente.

«Ci siamo. Mangiano. Lascia i remi e butta giù anche la tua lenza!».

Affondai il mio bolentino. Sentii quasi subito quella successione di lievi tocchi. Due strappi rapidi. Sentivo la lenza cambiare resistenza, un peso vivo che saliva dal blu. La mia mente cercava di intuire il numero e la specie delle prede. Mio padre tirò a bordo una tripletta di grandi bulargi rossastri. Io, con la fortuna del novizio, un guizzante pagellotto. Lo slamai, e l'orgoglio era grande.

La mattinata volò via in chiacchiere e pescate, con il secchio che si riempiva. Mio padre non era particolarmente loquace per carattere, ma nei momenti quieti, affioravano fluidamente i suoi racconti giovanili. Le gioie e le asprezze riservate ai "pescaminatori". Le pescate quasi miracolose durante la carestia della guerra, gli scherzi tra compagni di barca, le mareggiate e il freddo patito, e la stanchezza nel riprendere il turno di lavoro a terra. Ascoltavo in silenzio, con il riguardo che ancora oggi porto a chi ha sofferto per quel duro lavoro.

La pesca fu interrotta dal frugale pasto di mezza mattina sotto il sole, in quella bonaccia bianca di settembre. Ricordo ancora quel sapore del rosso pomodoro bagnato nell'acqua salata del mare. Anche la scienza dice che l'odore e il gusto siano le memorie più tenaci.

A fine mattinata riavvolgemmo le lenze. Il motore si avviò al primo tentativo e puntammo la prua verso il paese. Sapevo cosa ci aspettava, un pranzo estivo domenicale preparato da Mamma: spaghettata al pomodoro fresco e basilico, melanzane ripiene e la frittura croccante dei nostri pagelli e bulargi.

Non c'era niente di clamoroso in quel giorno. Solo una bolentinata con Babbo. Altre ne sarebbero venute. Ma se è rimasta, incancellabile, fra i ricordi più veri, è perché deve avere un suo valore grande, forse universale.

È il momento in cui le generazioni si toccano, in cui l'esperienza, le memorie, i valori fluiscono dai padri ai figli. I nostri antenati hanno vissuto e sofferto per darci futuro e libertà.

Oggi, in un mondo fatto di schermi, di connessioni virtuali, di Intelligenza Artificiale, resta la domanda: ci siamo meritati questa eredità? E stiamo tramandando onestamente il loro inestimabile codice etico alle nuove generazioni? Chissà!

Spero solo che i nostri discendenti, un giorno, possano ricordare e narrare con la stessa gratitudine, di "una semplice ma memorabile giornata trascorsa insieme raccontando".




Il rientro in barca sul mare di settembre
Il rientro in barca sul mare di settembre


Il paese visto dal mare quando le barche rientravano al molo


La bianca costa calcarea dalla Grotta alla spiaggia di San Nicolò


Il rientro in barca sul mare di settembre

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